Oggi vorrei affrontare un argomento che ritengo molto delicato e a fronte del quale possono essere espressi punti di vista molto, anzi, troppo doversi tra loro, inconciliabili.
Credo, però sia di assoluta attualità, dato che l'attenzione ai bisogni di persone con disabilità si fa sempre più ferma e diffusa.
Ho letto pochi giorni fa un articolo nel quale si parlava di "operatrici/ori sessuali" per disabili: una figura professionale che si sta diffondendo nei paesi del nord e che, dopo un corso di formazione, offre prestazioni sessuali a persone con disabilità.
Non sono, secondo i sostenitori, da considerare persone che si prostituiscono, ma piuttosto operatori sociali; perchè il sesso è un diritto di tutti.
Io riconosco che il più delle volte l'aspetto riguardante la sessualità dei disabili è molto sottovalutato, se non addirittura non considerato; è importante, invece, che se ne prenda coscienza e si cerchino le modalità più adatte per aiutare e accompagnare tutti a vivere a pieno e nel migliore dei modi il proprio sviluppo sessuale.
Credo anche, però, che la sessualità umana sia molto più che un insieme di pulsioni da soddisfare e che quando ci limitiamo a soddisfare quelle, in realtà ci accontentiamo di un surrogato che non ha nulla a che fare con ciò di cui abbiamo bisogno e, anche se non ce ne rendiamo conto subito, a lungo andare ci lascia solo il vuoto che non siamo riusciti a colmare. Certo, queste operatrici non offrono solo l'atto sessuale, ma dolcezza, tenerezza, ascolto (così era scritto nell'articolo): ma rimane comunque solo un surrogato, non è una situazione spontanea di amore tra due persone, quindi comunque non offre alle persone ciò di cui hanno bisogno.
Altra considerazione che mi sorge è che probabilmente anche molti di coloro che ricercano rapporti con prostitute lo fanno perchè non trovano qualcuno con cui averne, non possiamo partire dal presupposto che siano tutti dei prervertiti, non siamo in grado di stabilirlo. Allora anche la prostituzione dovrebbe essere considerata un servizio sociale, come lo è in molti stati, in effetti.
Eppure io non riesco a non percepirla, in ogni caso, come un mero compromesso di cui molti si accontentano, ma che non offre una soluzione a qualsivoglia problema, nè risposta ai bisogni di una persona.
Proprio perchè la sessualità umana si caratterizza per una profondità e un'emozionalità alle quali non si può rinunciare.
Leggevo, a riguardo, un capitolo scritto da E.Montobbio (tratto dal libro "Disabili&Abili. Manuale per educatori professionali", R.Caldin e P.Tessari) nel quale egli riportava le parole suggerite in riferimento alla sessualità, da un gruppo di operatori con i quali aveva fatto un seminario proprio per affrontare il tema della sessualità di persone disabili: quasi tutte si riferivano ad aspetti relazionali ed emotivi.
Ma allora, se è questo per noi la sessualità, tutelarne il diritto dei disabili significa offrir loro un surrogato?
E' davvero questa la soluzione migliore?
Io continuo a rifletterci....voi che ne pensate?
Vi lascio con la lettura dell'articolo al quale faccio riferimento:
http://donna.libero.it/sotto_le_lenzuola/sesso-e-disabili-le-volontarie-del-piacere-sessualita-handicap-ne2580.phtml
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