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lunedì 26 aprile 2010

Disabili e sessualità

Oggi vorrei affrontare un argomento che ritengo molto delicato e a fronte del quale possono essere espressi punti di vista molto, anzi, troppo doversi tra loro, inconciliabili.
Credo, però sia di assoluta attualità, dato che l'attenzione ai bisogni di persone con disabilità si fa sempre più ferma e diffusa.
Ho letto pochi giorni fa un articolo nel quale si parlava di "operatrici/ori sessuali" per disabili: una figura professionale che si sta diffondendo nei paesi del nord e che, dopo un corso di formazione, offre prestazioni sessuali a persone con disabilità.
Non sono, secondo i sostenitori, da considerare persone che si prostituiscono, ma piuttosto operatori sociali; perchè il sesso è un diritto di tutti.
Io riconosco che il più delle volte l'aspetto riguardante la sessualità dei disabili è molto sottovalutato, se non addirittura non considerato; è importante, invece, che se ne prenda coscienza e si cerchino le modalità più adatte per aiutare e accompagnare tutti a vivere a pieno e nel migliore dei modi il proprio sviluppo sessuale.
Credo anche, però, che la sessualità umana sia molto più che un insieme di pulsioni da soddisfare e che quando ci limitiamo a soddisfare quelle, in realtà ci accontentiamo di un surrogato che non ha nulla a che fare con ciò di cui abbiamo bisogno e, anche se non ce ne rendiamo conto subito, a lungo andare ci lascia solo il vuoto che non siamo riusciti a colmare. Certo, queste operatrici non offrono solo l'atto sessuale, ma dolcezza, tenerezza, ascolto (così era scritto nell'articolo): ma rimane comunque solo un surrogato, non è una situazione spontanea di amore tra due persone, quindi comunque non offre alle persone ciò di cui hanno bisogno.
Altra considerazione che mi sorge è che probabilmente anche molti di coloro che ricercano rapporti con prostitute lo fanno perchè non trovano qualcuno con cui averne, non possiamo partire dal presupposto che siano tutti dei prervertiti, non siamo in grado di stabilirlo. Allora anche la prostituzione dovrebbe essere considerata un servizio sociale, come lo è in molti stati, in effetti.
Eppure io non riesco a non percepirla, in ogni caso, come un mero compromesso di cui molti si accontentano, ma che non offre una soluzione a qualsivoglia problema, nè risposta ai bisogni di una persona.
Proprio perchè la sessualità umana si caratterizza per una profondità e un'emozionalità alle quali non si può rinunciare.
Leggevo, a riguardo, un capitolo scritto da E.Montobbio (tratto dal libro "Disabili&Abili. Manuale per educatori professionali", R.Caldin e P.Tessari) nel quale egli riportava le parole suggerite in riferimento alla sessualità, da un gruppo di operatori con i quali aveva fatto un seminario proprio per affrontare il tema della sessualità di persone disabili: quasi tutte si riferivano ad aspetti relazionali ed emotivi.
Ma allora, se è questo per noi la sessualità, tutelarne il diritto dei disabili significa offrir loro un surrogato?
E' davvero questa la soluzione migliore?

Io continuo a rifletterci....voi che ne pensate?

Vi lascio con la lettura dell'articolo al quale faccio riferimento:
http://donna.libero.it/sotto_le_lenzuola/sesso-e-disabili-le-volontarie-del-piacere-sessualita-handicap-ne2580.phtml

martedì 20 aprile 2010

Elling


Ciao a tutti,
sono latitante da qualche giorno, ma non funziona la connessione a casa, quindi non ho potuto aggiungere nulla di nuovo.
Torno con la proposta di un altro film che ho guardato proprio la settimana scorsa: "Elling".
E' un film di Petter Naess, uscito nel 2001 ed è ambientato in Norvegia; è la storia di due uomini che hanno passato diversi anni in una struttura residenziale per pazienti psichiatrici e ai quali il governo offre la possibilità di trasferirsi in un appartamento in città in cui vivere, sviluppando una propria autonomia e cercando di integrarsi gradualmente nella società. La vicenda è narrata da uno dei due protagonisti, Elling appunto, come una sorta di diario in cui esprime il suo vissuto interiore rispetto alla situazione completamente nuova in cui si trova a vivere: prima di esser inserito nella struttura psichiatrica, aveva vissuto solo con la madre per trent'anni e non aveva sviluppato un'autonomia personale, nè tantomeno dei progetti di vita; all'improvviso è chiamato a crescere, vincere tutte le sue ansie (a partire dal rispondere al telefono) per imparare a badare a se stesso e ad una casa, insieme al suo amico e compagno di stanza, ossessionato dal desiderio di incontrare una donna con cui condividere la sua vita. Le condizioni sono queste: se non dimostreranno di essere in grado di vivere da soli, senza il supporto di un assistente, dovranno tornare nella residenza psichiatrica.
Il dipanarsi della storia ha un ritmo tranquillo ma non lento, lascia il giusto spazio alle riflessioni personali permettendo di rielaborare gli episodi di cui Elling ci rende partecipi.
Io l'ho apprezzato, anche se, per certi aspetti non mi sembra possa rispecchiare a pieno la realtà: i due amici non vengono molto accompagnati nel loro percorso, sono lasciati a se stessi, se non per qualche controllo periodico da parte dell'assistente sociale.
Però mi è molto piaciuto come il protagonista narra la vicenda, la modalità con cui condivide le sue considerazioni e il modificarsi del suo rapporto con la realtà.
In particolare mi colpisce il rapporto che instaura con il suo amico: il vederlo più coraggioso e disponibile a cercare contatti con altre persone e realtà, provoca in lui invidia e paura di sentirsi "sorpassato" nelle relazioni e di perdere la persona che (in sostituzione alla madre) gli consente di rimanere nel proprio guscio, ma non solo. Proprio questo, però, farà emergere la consapevolezza che per poter vivere meglio deve fare un salto di qualità, decidere di voler abbandonare tutte le ansie dalle quali si liasciava dominare e farsi un pò violenza per vincerle.

A questo proposito una scena credo sia emblematica: quando i due si trovano al ristorante ed Elling deve andare al bagno; vorrebbe andare a casa ma l'amico lo spinge ad utilizzare il servizio del ristorante.
Elling si fa coraggio e alzatosi da tavola si dirige verso il bagno, questi i suoi pensieri: "Com'è diversa la gente, alcuni sciano da soli verso il Polo Nord, mentre io devo raccogliere tutto il mio coraggio per attraversare la sala di un ristorante. Dev'essere questo quando parlano di limiti da valicare".
Purtroppo non ho trovato la scena, ma se ci riesco ve la posto!!

Buona visione

giovedì 15 aprile 2010

Rosso come il cielo



Ciao a tutti,
finalmente dedico un pò di tempo a questo piccolo blog e lo faccio proponendovi la visione di un film che io ho guardato ancora un pò di tempo fa e mi è piaciuto moltissimo: Rosso come il cielo.
E' la storia di Mirco, un bambino di dieci anni molto curioso e intraprendente che un giorno, osservando il fucile del padre, spara accidentalmente un proiettile che lo colpisce agli occhi: da quel momento potrà vedere solo ombre e luci. A causa della legge che impediva ai disabili di frequentare le scuole normali (la storia è ambientata nel 1960) è costretto a trasferirsi in un istituto speciale per ciechi a Genova, lontano dalla sua famiglia con la quale viveva in Toscana. Nonostante la sua grande difficoltà ad accettare questa nuova condizione di disabilità, la sua voglia e curiosità di conoscere lo porteranno a sperimentare e manifestare un modo nuovo di esplorare il mondo che valorizza tutti i sensi e lascia molto spazio alla fantasia. Troverà in questo l'ostilità del preside dell'istituto, anch'egli cieco, ancorato ad una visione restrittiva delle loro possibilità di vita e di realizzazione e ad una concezione arretrata di possibile integrazione, focalizzata sulla necessità di imparare un lavoro adatto alle capacità residue, indipendentemente dagli interessi reali dei bambini.
Sarà la grande sensibilità del maestro, don Giulio, a premiare l'originalità e positività di Mirco e a valorizzarla e affermarla come possibile nuova cultura di disabilità e integrazione.
Come?  Scopritelo guardando il film!!

Sono state diverse le riflessioni suscitate da questa storia, ma vorrei proporne due in particolare.
Una riguarda la modalità con cui Mirco affronta una svolta così decisiva nella sua vita: inizialmente rifiuta con tutto se stesso la disabilità e si chiude evitando i momenti di incontro con gli altri, non ha nemmeno il coraggio di dire ai suoi amici quanto gli è accaduto. Ma il fare esperienza dell'accoglienza da parte degli altri lo aiuta poi a ritrovare se stesso, la sua intraprendenza, il suo valore.
Si tratta, però, di un'accoglienza attiva, non passiva accettazione: gli amici che trova nell'istituto lo seguono e lo incoraggiano con entusiasmo nelle sue iniziative; il maestro lo sprona con decisione per aiutarlo a non metter da parte il suo carisma.
Un'altra osservazione riguarda proprio la figura del maestro: mi ha ricordato che non dobbiamo mai perdere la disponibilità a modificare i nostri punti di vista; una messa in discussione che non può avvenire solo nel confronto con altri professionisti o esperti, bensì anche e molto nella relazione, nell'incontro con le persone per le quali si lavora e che per prime possono indicarci quali siano le potenzialità su cui puntare e che magari non si erano considerate. E', infatti ,osservando Mirco che il maestro coglie un nuovo modo di rapportarsi ai bambini della sua classe, attraverso la valorizzazione della loro espressione spontanea; chiaramente nella giusta misura, ovvero quella che permette loro di essere protagonisti della propria crescita, della scoperta del mondo e, quindi, di avere la possibilità di imparare a muoversi in esso autonomamente e a realizzare la propria vita facendo esperienze di interesse personale.
Importante per noi educatori è, pertanto, disporsi con atteggiamento di accoglienza  attiva sapendo accettare anche qualche iniziale rifiuto da parte dell'altro, senza rinunciare alla possibilità di aiutarlo; e saper cogliere l'unicità e le risorse personali incoraggiando l'altro a sfruttarle ed esprimerle.

Vi lascio con la visione di una delle tante scene (a mio parere) poetiche di questo bellissimo film
http://www.youtube.com/watch?v=DIkl7repr_o

lunedì 12 aprile 2010

Pronti? Si parte!!..

Ciao a tutti,
sono Chiara e, come specificato nel profilo, studio Educazione Professionale(nei servizi sanitari) presso l'università di Padova.
Con questo blog non intendo trattare un argomento specifico, bensì comunicare e condividere qualsiasi informazione e riflessione possa nascere riguardo la professione di educatore. 
Il titolo che ho scelto è Educatori EducAbili per diverse ragioni: innanzitutto uno dei compiti fondamentali dell'educatore è di focalizzarsi sulle abilità e potenzialità della persona a cui si rivolge per aiutarla a svilupparle e incrementarle; quindi dobbiamo considerare chiunque come persona abile pur se in diversi modi e misure.
Noi come professionisti dobbiamo essere abili nel nostro lavoro, vista la pluralità di ambiti in cui possiamo cimentarci: servizi rivolti a persone con disabilità, quindi centri diurni o residenziali; comunità e SerT per consumatori di sostanze, reparti ospedalieri (speriamo si aprano più strade in questo senso), case di riposo. Ma anche altri tipi di realtà nelle quali possono operare educatori sociali, come ad esempio centri ricreativi, culturali, interculturali e per l'integrazione, servizi extra scolastici.
Infine, ma non per ultimo, credo sia importante tenere sempre presente che ciascuno di noi oltre a poter essere educatore rimane sempre comunque una persona educabile: abbiamo sempre qualcosa da imparare sia dalle esperienze della vita sia da quelle specificamente professionali. Non pensiamo mai di aver raggiunto l'assoluta maturità, di essere sempre capaci di agire al meglio o di essere superiori agli altri: cerchiamo piuttosto di avere la disponibilità a metterci in discussione a correggerci, migliorarci.
Questa è un'esortazione che rivolgo sempre innanzitutto a me stessa e in ogni occasione perchè a volte le persone che crediamo di dover educare sono le prime ad aver tanto da insegnarci.
Questo è quanto, per ora vi saluto e vi invito a leggere il mio blog, commentare, suggerire e criticare (costruttivamente :) )

A presto