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domenica 16 maggio 2010

"Una vita imprudente, percorsi di un diversabile in un contesto di fiducia"

Cari lettori (pochi ma buoni :) ),
come pormesso oggi vi parlerò del libro che ho letto di Claudio Imprudente, ovvero quello citato nel titolo stesso del post.
L'opera, pur parlando di lui non è propriamente una biografia: in essa i fatti della sua vita si intrecciano con riflessioni sul tema della vita nel suo senso più intimo e profondo, a partire dalla realtà della diversabilità, ma giungendo fino al cuore di questioni che riguardano la persona in quanto tale, indipendentemente dalla sua forma di espressione; come la concezione che si ha del limite, della sofferenza, della felicità, del rapporto con Dio. Tutto questo mettendo in evidenza la necessità di una nuova culutra di umanità in cui il contatto con la disabilità può farci da guida in quanto "cartina di tornasole" (come direbbe Claudio Imprudente) della nostra capacità di guardare positivamente a se stessi e alla vita, alle sue diversità e potenzialità: in questa nuova cultura penso uno degli assi portanti sia identificabile in un'idea di integrazione che vada oltre il solo inserimento di persone diversabili nei vari domini dell'esistenza e che, quindi, come dice Claudio, porti alla costruzione di un mondo più a misura d'uomo (se è integrata una persona disabile, allora lo è sicuramente qualsiasi altra persona; questo credo sia il pensiero dell'autore).
Sono moltissimi i punti che mi hanno colpita leggendo questo libro, però mi soffermo su uno in particolare che credo sia rilevante proprio rispetto a questa nuova cultura di cui parla Claudio: l'utilizzo del termine diversabile.
Alla base di questa scelta c'è una doppia lettura del termine disabilità: la prima riguarda il deficit che è qualcosa di oggettivo, ineliminabile, in conseguenza al quale si possono solo cercare di ridurre le situazioni di handicap che a causa di esso, anzi dei fattori handicappanti esterni, si possono incontrare. La seconda vede la disabilità come una difficoltà che giustamente l'autore interpreta come sfida: la difficoltà, dice Claudio, è il "sale del gioco" è ciò che lo rende interessante, appagante e che attiva la nostra curiosità e fantasia oltre che la voglia di competere positivamente con gli altri e con noi stessi. Questo vale anche per le difficoltà della vita, come lo sono le disabilità, la cui necessaria accettazione non richiama un atteggiamento di passiva rassegnazione, bensì una presa di coscenza della situazione, nei suoi limiti e nelle sue potenzialità: allora si può anche, partendo dal dato di fatto, ingegnarsi con la propria creatività per affrontare positivamente la difficoltà stessa.
Diversabilità pertanto, vuole liberare la persona con deficit e la sua esistenza da una connotazione negativapropria della nostra cultura e valorizzare la possibilità di realizzazione di vita a partire dalle più comuni attività umane: ad esempio Claudio non può parlare come chiunque altro, ciò non significa che non lo possa fare in assoluto, lo fa diversamente; ovvero grazie alll'ausilio di una lavagnetta in plexiglass e, soprattutto nei convegni, di una persona che legga a voce ciò che lui "scrive" con gli occhi.
E le persone con grave ritardo mentale o disabilità fisica? Quelle con cui è impossibile dialogare o che sembra che esistano e basta? Difficile considerarle diversamente abili. Allora C.Imprudente sottolinea l'essenza più profonda dell'uomo, ovvero l'essere di per sè, già per questo segnato di profonda dignità e l'essere in relazione con l'altro, che non significa necessariamente essere attivi nell'interazione, anzi molte volte vuol dire saper fare spazio dentro di sè per saper accogliere l'atlro e permettere a lui di esprimersi per com'è: una persona cerebrolesa nella sua debolezza, ci permette di farlo, senza tentare prevaricazioni; e noi, sappiamo dare questo spazio agli altri? Forse queste persone esistono proprio per metterci in discussione e aiutarci ad essere più umani.

Se devo esprimere un giudizio riguardo il libro di Claudio Imprudente posso dire che esprime una personalità fresca e coinvolgente senza per questo ricadere in una visione fiabesca della realtà; Claudiop più volte ricorda al lettore che una chiave di lettura ottimista non toglie il fatto che la vita abbia le sue fatiche, sia segnata da momenti di grande sofferenza e che molte volte vengano meno le forze; il vedere le potenzialità di un diversabile non significa rimuovere dalla coscenza la presenza del deficit e ciò che questo oggettivamente ed inevitabilmente comporta. Ma significa piuttosto cercare, ogni volta che si sentono mancare il coraggio e la determinazione, di recuperare le forze ritrovando la fiducia in se stessi e nelle persone che ci circondano e sulle quali è possibile contare.

Ho scritto un fiume di parole e ne potrei far scorrere molte altre: arrivata all'ultima pagina del libro il mio primo pensiero è stato che avrei dovuto rileggerlo almeno una volta e il secondo che questa lettura non si è conclusa in se stessa, bensì mi chiede di esser continuata con altre letture di altrettanto valore formativo, non solo in quanto professionista, ma anche, innanzitutto, come persona.

Vi lascio una citazione del libro che davvero racchiude l'essenza della peroalità dell'autore: "E la mia disabilità? Microscopica mancanza rispetto a tutto ciò che mi è stato donato, un granello di sabbia in meno in una infinita spiaggia"...
E ricordo che Claudio ha una tetraparesi spastica


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